Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL

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Collectivité

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Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL

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Autre(s) forme(s) du nom

  • Confederazione generale del lavoro - CGdL

Numéro d'immatriculation des collectivités

Zone de description

Dates d'existence

1906 ott. 1 -

Historique

La Confederazione generale del lavoro (CGdL) nasce al primo Congresso di Milano del 29 settembre - 1° ottobre 1906. Il primo Segretario generale è il riformista Rinaldo Rigola, già in precedenza a capo del Segretariato Centrale della Resistenza, la struttura costituita nel 1902 con l’obiettivo di trovare la sintesi politica tra le spinte radicali dei rivoluzionari, che guidavano gran parte delle Camere del Lavoro, e le posizioni moderate dei riformisti, a capo delle principali Federazioni di mestiere e industriali.
Per tutta la durata dell’età liberale e fino al fascismo, la direzione confederale è saldamente nelle mani dei riformisti. Lo scontro con la minoranza si mantiene acceso fino a giungere alla spaccatura del 1912, quando i sindacalisti rivoluzionari decidono la costituzione al Congresso di Modena dell’Unione Sindacale Italiana (USI). Il programma confederale, confermato nei successivi Congressi nazionali di Modena, Padova e Mantova (tenuti rispettivamente nel 1908, 1911 e 1914), punta al miglioramento graduale delle condizioni di vita delle classi lavoratrici italiane; in questa direzione va anche l’accordo siglato all’inizio del 1907 tra CGdL, Federazione delle Società di Mutuo Soccorso e Lega Nazionale delle Cooperative (la cosiddetta “Triplice Economica”). Gli strumenti principali individuati per la realizzazione del programma confederale sono due: lo sviluppo della legislazione sociale e la diffusione della contrattazione collettiva. Su quest’ultimo versante, la firma dei primi contratti (tra i più importanti l’accordo Itala-FIOM, firmato a Torino nel 1906) evidenzia il tentativo da parte sindacale di ottenere un riconoscimento “istituzionale” da parte di Governo e imprese (nel 1910 nasceva a Torino la Confederazione Italiana dell’Industria). I risultati sono significativi: la riduzione dell’orario di lavoro, la fissazione dei minimi salariali, il riconoscimento delle Commissioni interne nei luoghi di lavoro, il controllo del collocamento. Tuttavia, la dura intransigenza padronale e le ricorrenti crisi economiche impediscono l’estensione e il rinnovo dei contratti. Quanto ai rapporti con il Partito Socialista Italiano (costituito a Genova nel 1892), dopo la nascita della CGdL non mancarono momenti di attrito e difficoltà. L’accordo di Firenze del 1907 sancisce la “naturale” divisione dei compiti tra sindacato (economia) e partito (politica); ma sia la discussione sulla costituzione da parte sindacale di un eventuale Partito del lavoro, sia la vittoria dei massimalisti nel partito al Congresso di Reggio Emilia del 1912, segnalarono una crescente divaricazione tra PSI e CGdL. Le tensioni aumentarono durante i fatti della “settimana rossa” del giugno 1914, quando un movimento insurrezionale e antimilitarista, partito da Ancona, si propaga in molte zone d’Italia. In appoggio ai manifestanti, la CGdL decise di proclamare lo sciopero generale; ma di fronte all’aggravarsi degli scontri con esercito e forze dell’ordine, la Confederazione decide di ritirare il suo sostegno alla mobilitazione in atto.
Allo scoppio della prima guerra mondiale (1914), l’Italia mantiene una posizione neutrale. La maggioranza del paese e delle forze politiche (liberali, cattolici, socialisti) rifiuta l’ingresso nel conflitto; anche la CGdL si schiera in modo convinto su queste posizioni, ribadendo la stessa opposizione mostrata durante la guerra coloniale di Libia del 1911-12. Nel giro di alcuni mesi, tuttavia, settori minoritari delle classi dirigenti impongono al Parlamento un colpo di mano che sancisce l’intervento italiano in guerra a fianco della Triplice Intesa. Il PSI si ritira sulla posizione del “né aderire, né sabotare”, mentre la CGdL inaugura una politica di collaborazione istituzionale con Governo e imprenditori al fine di tutelare nel miglior modo possibile i lavoratori.
Finita la guerra, in molti paesi europei, anche sull’onda delle notizie rivoluzionarie provenienti dalla Russia, scoppiano numerose rivolte popolari. L’Italia registra un periodo di accesa conflittualità sociale, il “biennio rosso” (1919-20). Dopo la firma nel febbraio 1919 dei primi contratti nazionali , che sanciscono la conquista delle otto ore giornaliere, con l’estate si entra nel vivo della mobilitazione. Protagonisti di questa fase furono i braccianti nelle campagne, mentre nell’industria operarono i Consigli di fabbrica, le nuove strutture di rappresentanza operaia, promotori di una politica rivendicativa fortemente antagonista, centrata sul controllo dell’organizzazione del lavoro e della produzione. La CGdL mantiene un atteggiamento diffidente verso il movimento dei Consigli, facilitandone in questo modo la sconfitta, avvenuta a Torino nell’aprile 1920. A settembre, dopo una dura vertenza culminata con l’occupazione delle fabbriche, la firma del “lodo Giolitti” tra Governo, CGdL e imprese pone fine al “biennio rosso”. Al V Congresso della CGdL, tenuto a Livorno nel 1921, il sindacato, a differenza del partito socialista, riesce ad evitare la scissione dei comunisti.
Al “biennio rosso” (1919-20) segue il “biennio nero” (1921-22), segnato dall’attacco violento che i fascisti scatenano contro il movimento operaio e le fragili istituzioni dello Stato liberale. Dopo l’assalto alla sede del Comune di Bologna nel novembre 1920, si moltiplicano i casi di incendio e saccheggio operati dalle “squadracce nere” contro le Camere del lavoro, le Case del popolo, le cooperative, le leghe. Il 28 ottobre 1922, con la marcia su Roma, Mussolini prende il potere.
La crisi vissuta dal regime nei mesi successivi alla morte di Giacomo Matteotti viene superata da Mussolini all’inizio del 1925 – pochi giorni dopo il VI Congresso della CGdL, tenuto a Milano nel dicembre 1924 –, quando il duce decide una svolta in senso “totalitario” attraverso una serie di provvedimenti liberticidi (le “leggi fascistissime”), che annullano qualsiasi forma di opposizione al fascismo. Sul piano sindacale, con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconoscono reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro e abolivano le Commissioni Interne. La sanzione ufficiale di tale svolta arriva con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconosce giuridicamente il solo sindacato fascista (l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro), istituisce una speciale Magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro e cancella il diritto di sciopero.
Lo “sbloccamento” (cioè la frammentazione) della Confederazione fascista dei sindacati nel 1928 e il mancato riconoscimento giuridico dei fiduciari di fabbrica nei luoghi di lavoro evidenziano le debolezze del sindacato di regime. Negli anni ‘30, gli effetti della crisi economica del 1929 (licenziamenti indiscriminati, aumento della disoccupazione, diminuzione dei salari) avrebbero notevolmente peggiorato le condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Il 4 gennaio 1927, in seguito ai provvedimenti emessi dal fascismo, il vecchio gruppo dirigente della CGdL, tra cui Rinaldo Rigola e Ludovico D’Aragona (quest’ultimo Segretario generale dal 1918 al 1925), decide l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contro tale decisione Bruno Buozzi, Segretario generale della CGdL dal 1925, nel febbraio 1927 ricostituisce a Parigi la CGdL, la quale aderisce, insieme ad alcuni partiti, alla Concentrazione d’azione antifascista. Nello stesso mese, durante la prima Conferenza clandestina di Milano, i comunisti danno vita alla loro Confederazione Generale del Lavoro. In questo modo, dalla fine degli anni ‘20 e fino alla caduta della dittatura fascista, convivono due CGdL: una di ispirazione riformista, aderente alla Federazione Sindacale Internazionale; l’altra comunista, aderente all’Internazionale dei Sindacati Rossi. A capo della CGdL clandestina, dopo l’espulsione di Paolo Ravazzoli dal Partito Comunista, viene chiamato nel 1930 Giuseppe Di Vittorio, il quale, dopo aver militato in gioventù tra le file dei sindacalisti rivoluzionari, aderisce nel 1924 al PCd’I.
Fino alla metà degli anni ‘30 i rapporti tra le due Confederazioni si mantengono tesi, soprattutto a causa della decisione presa dalla Terza Internazionale di contrastare i riformisti, accusati di “socialfascismo”. Quando però il pericolo fascista diventa assai concreto, soprattutto in seguito alla presa del potere da parte di Hitler in Germania (gennaio 1933), le diverse componenti della sinistra riescono a trovare un terreno comune di iniziativa, evidente nella politica dei Fronti popolari in Francia e Spagna. Gli effetti si fanno sentire sia sulla politica italiana, con la firma nel 1934 del Patto di unità d’azione tra PCd’I e PSI, sia sul sindacato. Il 15 marzo 1936, infatti, Buozzi e Di Vittorio si incontrano a Parigi per firmare la “piattaforma d’azione della CGL unica”.
I successivi avvenimenti internazionali (soprattutto la vittoria di Franco nella guerra civile spagnola e la firma del patto di non aggressione tra Germania e URSS) sembrano annullare l’efficacia di quelle intese. Tuttavia, durante la seconda guerra mondiale, scoppiata con l’invasione della Polonia da parte dei nazisti nel settembre 1939, e parallelamente alla crescita della resistenza antifascista, sono proprio quelle intese degli anni ‘30 a rappresentare la base di partenza per l’unità sindacale.
Già prima della caduta di Mussolini, avvenuta il 25 luglio 1943 in seguito al voto del Gran Consiglio del Fascismo, settori importanti delle classi lavoratrici del nord tornano a scioperare contro il regime nel marzo-aprile 1943; si tratta di agitazioni motivate da cause economiche, ma il valore politico di quelle manifestazioni è evidente. Con l’arresto di Mussolini, il nuovo Governo Badoglio decide di commissariare le vecchie strutture sindacali fasciste: il socialista Bruno Buozzi diviene il nuovo Commissario dei Sindacati dell’Industria, all’Agricoltura andava il cattolico Achille Grandi, mentre al comunista Di Vittorio viene affidata l’organizzazione dei braccianti. Il 2 settembre 1943, poche ore prima della firma dell’armistizio con gli Alleati anglo-americani, Buozzi firma con gli industriali un importante accordo interconfederale per il ripristino delle Commissioni Interne.
Nei mesi successivi, di fronte alla scelta di Mussolini di costituire nel nord la Repubblica Sociale Italiana, inizia la Resistenza partigiana contro il nemico nazifascista. Un valido contributo alla lotta di Liberazione viene proprio dai lavoratori che a più riprese tornarono a scioperare contro la dittatura, questa volta con motivazioni chiaramente politiche. È proprio in occasione degli scioperi del novembre-dicembre 1943, del marzo e del giugno 1944 che migliaia di operai vengono deportati nei campi di lavoro e di concentramento tedeschi; in molti non sarebbero tornati vivi. Mentre al sud rinascono le Camere del lavoro e mentre al nord si intensifica il movimento resistenziale, i principali esponenti del sindacalismo italiano proseguono il lavoro di dialogo unitario, avviato già negli anni ‘30, che culmina il 3 giugno 1944, poche ore prima della Liberazione della capitale da parte degli Alleati, nella firma del Patto di Roma che decreta la rinascita del sindacato libero. La CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro) unitaria nasce dal compromesso tra le tre principali forze politiche italiane: infatti, il Patto di Roma viene siglato da Giuseppe Di Vittorio per i comunisti, Achille Grandi per i democristiani ed Emilio Canevari per i socialisti. In quelle stesse ore uno dei principali protagonisti dell’intesa, Bruno Buozzi, veniva barbaramente ucciso dai nazisti.
Il 25 aprile 1945 le popolazioni delle principali città del nord insorgono e l'Italia viene liberata.
Dal 28 gennaio al 1° febbraio 1945 si tiene a Napoli il congresso della CGIL delle zone liberate. In quella occasione vengono eletti i primi Segretari generali della CGIL: Di Vittorio per i comunisti, Grandi per i democristiani e Oreste Lizzadri per i socialisti.
Dopo il 25 aprile, la CGIL unitaria dà un contributo fondamentale per la ricostruzione economica, sociale, politica e istituzionale dell’Italia, rappresentando uno degli interlocutori privilegiati dagli Alleati. Fino al 1948 l’impegno del sindacato si concentra soprattutto su due piani. In primo luogo, CGIL e imprese firmano una serie di accordi interconfederali che annullano gran parte delle norme fasciste e disciplinano istituti contrattuali molto importanti: dalle Commissioni Interne alla scala mobile, dai licenziamenti alla cassa integrazione guadagni. In secondo luogo, all’indomani del voto del 2 giugno 1946, che sancisce la vittoria della Repubblica sulla monarchia, eleggendo anche i deputati per l’Assemblea Costituente, il sindacato gioca un ruolo politico di assoluto rilievo nella elaborazione della Costituzione, che all’articolo 1 definisce l’Italia “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Giuseppe Di Vittorio è il relatore della Terza sottocommissione, incaricata di redigere le norme costituzionali sui diritti sociali ed economici. Grazie alla CGIL, principi e istituti fondamentali quali la libertà sindacale, la contrattazione collettiva e il diritto di sciopero entrano nel testo finale.
Tuttavia, le differenti impostazioni culturali nel sindacato e la netta involuzione politica a livello internazionale, con lo scoppio della guerra fredda tra USA e URSS, producono effetti laceranti. La strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 (11 morti tra braccianti, donne e bambini), maturata negli ambienti agrari e mafiosi della Sicilia ed eseguita dalla banda di Salvatore Giuliano, apre squarci inquietanti, rivelando intrecci perversi con settori inquinati dello Stato. All’indomani del grave eccidio, le sinistre vengono estromesse dai Governi di unità nazionale. Nonostante le divisioni nella CGIL, evidenti al I Congresso di Firenze del giugno 1947, l’unità sindacale regge ancora un anno. Dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948, che vedono la netta affermazione della Democrazia Cristiana e la sconfitta del Fronte popolare (PCI e PSI), e dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio, cui la CGIL reagisce con lo sciopero generale politico, la corrente democristiana decide la scissione.
Il periodo delle scissioni sindacali si protrae per circa due anni, dall’estate del 1948 alla primavera del 1950. La prima componente a lasciare la CGIL è quella cattolica che nell’ottobre 1948 costituisce la Libera CGIL, guidata da Giulio Pastore; dopo alcuni mesi, nel giugno 1949, è la volta delle componenti socialdemocratica e repubblicana che danno vita alla FIL (Federazione Italiana dei Lavoratori). Il percorso termina con la nascita dell’Unione Italiana del Lavoro (UIL, 5 marzo 1950) e della Confederazione Italiana Sindacati Lavoratori (CISL, 1° maggio 1950).
La fase successiva alle scissioni è una delle più difficili per il sindacato italiano, segnato da profonde divisioni ideologiche. Inoltre la repressione poliziesca, condotta dalla famigerata “Celere” potenziata dal Ministro degli Interni Mario Scelba, causa la morte di decine di lavoratori durante manifestazioni e scioperi. La città simbolo di questi “eccidi proletari” è Modena dove il 9 gennaio 1950 muoiono sei operai; ma la maggior parte delle vittime si hanno in piccoli paesi del Sud (tra gli altri Melissa, Montescaglioso, Torremaggiore, Celano); le regioni più colpite sono la Sicilia e la Puglia.
La CGIL prova a uscire dall’isolamento attraverso una proposta politica forte, lanciata al II Congresso di Genova (1949) e nota con il nome di “Piano del Lavoro”. Nelle intenzioni dei promotori il Piano, che prevede la nazionalizzazione dell’energia elettrica e un programma esteso di lavori pubblici in edilizia e agricoltura, si vuole sollecitare le classi dirigenti sul tema delle cosiddette “riforme di struttura”. Dopo il Piano, Di Vittorio lancia al III Congresso di Napoli (1952) una nuova proposta “forte”, cioè l’idea di uno Statuto dei diritti dei lavoratori.
Il clima politico del centrismo democristiano non è tuttavia favorevole a questo tipo di iniziative. Lo dimostrano nel 1953 lo scontro frontale sulla nuova legge elettorale maggioritaria (la cosiddetta “legge truffa”) e nel 1954 la vertenza sul conglobamento (l’unificazione di alcune voci salariali), che si conclude con un accordo separato senza la CGIL. Questa raggiunge il punto più basso del consenso con la sconfitta della FIOM nelle elezioni alla Fiat per le Commissioni Interne (1955), dovuta non solo alla politica repressiva della direzione aziendale, ma anche alla forte centralizzazione delle decisioni che aveva contraddistinto la CGIL nel dopoguerra. All’indomani di quella cocente sconfitta, Di Vittorio pronuncia nel Direttivo confederale una famosa autocritica, destinata a mutare la politica rivendicativa dell’organizzazione.
Il “ritorno alla fabbrica” è lo slogan che accompagna la ripresa sindacale della CGIL dalla metà degli anni ‘50. La svolta rivendicativa viene precisata nei due successivi Congressi, il IV (svoltosi a Roma nel febbraio-marzo del 1956) e il V (tenuto a Milano nell’aprile del 1960). Nell’ottobre 1956 la CGIL emette un comunicato di condanna dell’invasione sovietica in Ungheria, che suscita molti malumori nel PCI e forti critiche, soprattutto nei confronti di Di Vittorio.
Il 3 novembre 1957 il Segretario generale muore ed è sostituito da Agostino Novella, in passato responsabile dell’Ufficio organizzazione e Segretario della FIOM. A Milano, nel 1960, la CGIL scegli in modo netto la politica della contrattazione articolata, che mira a dare un maggior peso sia alle categorie nazionali, sia alle strutture di fabbrica, sviluppando, accanto al contratto nazionale, gli accordi decentrati. Parallelamente prosegue l’impegno politico della CGIL che raggiunge l’apice nell’estate del 1960, quando essa proclama da sola lo sciopero generale contro il Governo Tambroni, appoggiato dai neofascisti del MSI e responsabile di una dura repressione e di eccidi durante alcune manifestazioni popolari a Genova, Reggio Emilia e in Sicilia.
Sul finire del 1960 si ha il primo banco di prova per la politica articolata: la vertenza degli elettromeccanici milanesi, conclusa con la firma di decine di accordi aziendali vittoriosi, dimostra la validità della nuova linea. Nel frattempo, con i rinnovi contrattuali del 1959 e del 1962-63, alcune Federazioni industriali, soprattutto metalmeccanici e tessili, compiono importanti passi avanti in tema di unità d’azione. È proprio grazie alla nuova politica unitaria che i metalmeccanici riescono a ottenere il riconoscimento della contrattazione integrativa, conquistato con la firma di un protocollo d’intesa con l’Intersind (la rappresentanza sindacale dell’industria pubblica) nel novembre 1962.
Il 1962 vede l’avvio dell’esperienza del centrosinistra, con l’ingresso dei socialisti nell’area di Governo. In una prima fase la CGIL mostra un atteggiamento prudente nei confronti della nuova maggioranza. Dopo la crisi economica e politica del 1963-64, l’ostilità della CGIL cresce, come testimonia l’opposizione alla politica di programmazione economica del Governo, sancita dal VI Congresso di Bologna (marzo-aprile 1965). Ma nonostante le difficoltà politiche, negli anni sessanta l’unità sindacale fa progressi, spinta soprattutto dalle decisioni dei metalmeccanici in tema di autonomia e politica economica.
Nel 1968 l’esplosione della contestazione giovanile coglie di sorpresa il sindacato e rende evidenti i limiti della sua azione. Un campanello d’allarme arriva nei primi mesi dell’anno quando le Confederazioni chiudono un accordo per la riforma delle pensioni con il Governo Moro; quella intesa viene duramente respinta dalla base e la CGIL decide il 7 marzo di proclamare da sola lo sciopero generale che riscuote ampie adesioni. Da quel momento riprende il dialogo tra le Confederazioni, sostenuto con vigore dalle importanti conquiste operaie nella contrattazione aziendale in tema di organizzazione del lavoro, ambiente di lavoro e delegati (nuovi rappresentanti dei lavoratori in fabbrica). La nuova offensiva sindacale porta al primo sciopero generale unitario dai tempi delle scissioni (14 novembre 1968), proclamato per ottenere una nuova riforma previdenziale, ed ha un approdo positivo all’inizio del 1969 con la vittoria sindacale sulle pensioni e sull’abolizione delle zone salariali (cioè delle differenze salariali, a parità di lavoro, da zona a zona).
Il 1969 è l’anno dell’affermazione definitiva del sindacato come soggetto politico. La stagione congressuale mostra segnali evidenti di maturità. La CGIL, nel VII Congresso di Livorno (giugno), sceglie l’incompatibilità tra incarichi sindacali e di partito, rafforzando la propria autonomia politica. L’apice viene raggiunto con “l’autunno caldo” dei metalmeccanici, quando la categoria riesce a rinnovare il contratto ottenendo grandi conquiste in tema di democrazia (assemblea), salario (aumenti uguali per tutti), orario (40 ore settimanali), diritti e potere nei luoghi di lavoro. Gran parte di quelle conquiste trovano poi spazio nella legge n. 300/1970, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, fortemente voluto dall’ex Segretario nazionale della CGIL e Ministro del Lavoro Giacomo Brodolini, e approvato dal Parlamento nel maggio 1970, che sancisce l’ingresso della Costituzione in fabbrica”. Qualche settimana prima, nel marzo 1970, Luciano Lama subentra a Novella nella guida della CGIL.
Il ciclo conflittuale si mantiene elevato fino al 1973, quando i rinnovi contrattuali decretano una nuova importante vittoria: l’inquadramento unico operai-impiegati. Tuttavia, le proposte più radicali di unità sindacale – per arrivare alla Confederazione unitaria – trovano molti oppositori nel sindacato, tra i partiti, nelle istituzioni e nelle classi dirigenti. La “strategia della tensione”, avviata con la strage di Piazza Fontana a Milano nel dicembre 1969 e culminata con la bomba di Piazza della Loggia a Brescia nel maggio 1974, diretta esplicitamente contro una manifestazione sindacale, annulla qualsiasi speranza di cambiamento.
Nei primi anni settanta l’unità sindacale sembra a portata di mano. Le tre riunioni tra i Consigli Generali e le Segreterie di CGIL, CISL e UIL, promosse dall’ottobre 1970 al novembre 1971 a Firenze, arrivano a stabilire, tra molte difficoltà, le date di scioglimento delle Confederazioni. Le elezioni politiche anticipate del maggio 1972 modificano però il quadro politico, con la vittoria del centrodestra. A quel punto, il Patto federativo CGIL-CISL-UIL (firmato nel luglio 1972) sembra essere l’unico compromesso possibile.
La Federazione unitaria deve subito affrontare una situazione difficile. Dall’autunno 1973, infatti, scoppia una grave crisi economica che muta sensibilmente il capitalismo italiano e internazionale. La “stagflazione”, cioè l’intreccio tra stagnazione produttiva e inflazione, assume in Italia caratteri ancora più gravi a causa dei ritardi strutturali del Paese; le scelte di ristrutturazione e decentramento effettuate dai gruppi industriali rendono meno efficace l’azione sindacale. Il 1975 è l’anno più duro per l’economia, ma il sindacato riesce ugualmente a strappare un accordo importante sulla scala mobile (innalzamento e unificazione del punto di contingenza) per la tutela reale di salari e stipendi. Tra l’VIII Congresso di Bari del luglio 1973 e il IX Congresso di Rimini del giugno 1977, la CGIL entra nella CES, la Confederazione Europea dei Sindacati (1974).
Nel frattempo, sul piano politico, la crescita elettorale del PCI nelle elezioni amministrative del 1975 e in quelle politiche del 1976 permette l’attuazione del “compromesso storico”, vale a dire l’alleanza tra il principale partito di governo (la DC) e il principale partito dell’opposizione (il PCI), teorizzata dal Segretario comunista Enrico Berlinguer all’indomani del golpe cileno di Pinochet. I governi di “solidarietà nazionale”, succedutisi tra il 1976 e il 1979, devono affrontare la nuova contestazione giovanile del 1977, che culmina a febbraio con l’attacco al comizio di Lama nell’Università “La Sapienza” di Roma, ma soprattutto la grave crisi economica e la pesante offensiva del terrorismo. Il sindacato sceglie di offrire una sponda al governo, evidente nella “svolta dell’EUR” del febbraio 1978, che sancisce la politica della moderazione salariale e l’accettazione della “politica dei due tempi”. Ma sia l’EUR, sia il compromesso storico vengono spazzati via dall’attacco frontale delle Brigate Rosse, che nella primavera del 1978 rapiscono e uccidono il Presidente della DC Aldo Moro; il 24 gennaio 1979 le BR uccidono a Genova il sindacalista della CGIL Guido Rossa. Dopo questi due omicidi inizia la parabola discendente del “terrorismo rosso”.
La crisi operaia e sindacale dell’autunno 1980 alla Fiat di Torino rappresenta un passaggio cruciale nella storia delle relazioni industriali in Italia. Di fronte al piano dell’azienda che prevedeva drastici tagli, lavoratori e sindacati provano a reagire, ma vengono travolti dalla famosa “marcia dei quarantamila” del 14 ottobre, organizzata dal “Coordinamento dei capi e dei quadri intermedi” e sostenuta dall’azienda, che costringe il sindacato a firmare la “resa”. L’accordo finale preve 23 mila operai in cassa integrazione; di questi pochissimi riescono a rientrare in fabbrica.
Dopo il X Congresso della CGIL, tenuto a Roma nel novembre 1981, dal 1982, con la disdetta unilaterale da parte di Confindustria dell’accordo sulla scala mobile del 1975 e con il blocco dei rinnovi contrattuali, inizia la pesante controffensiva, destinata a produrre effetti laceranti nel sindacato. La Federazione unitaria prova a contrastare le richieste delle imprese con la firma nel gennaio 1983, grazie alla mediazione del Governo, del cosiddetto “lodo Scotti”. Ma all’indomani delle elezioni politiche del 1983, che portano per la prima volta nella storia italiana un socialista alla guida del paese, è proprio il Governo Craxi a lanciare l’affondo più incisivo.
Dopo la firma di un accordo separato nel febbraio 1984, che non viene firmato dalla CGIL, ormai divisa al proprio interno tra comunisti e socialisti, il Governo prepara il cosiddetto “Decreto di San Valentino” che prevede i tagli alla scala mobile per via legislativa. Questi avvenimenti producono la rottura della Federazione unitaria; l’opposizione della CGIL, culminata il 24 marzo in una grande manifestazione di massa, non sortisce effetto e il Decreto viene trasformato in legge.
Contro la legge vengono raccolte le firme per il referendum abrogativo in un clima molto teso, segnato dal nuovo inquietante affondo del terrorismo rosso, che uccide Ezio Tarantelli, un economista tra i principali sostenitori dei provvedimenti governativi. Il referendum si tiene il 9-10 giugno 1985 e vede la vittoria dei “no”; la legge resta in vigore. Alla chiusura dei seggi e prima di venire a conoscenza dei risultati, la Confindustria disdice ugualmente l’accordo. Alla fine dell’anno viene firmato l’accordo per il pubblico impiego che modifica in parte la struttura della scala mobile; nel giro di poche settimane tale accordo viene esteso anche al settore privato.
Nei cinque anni compresi tra l’XI Congresso di Roma (febbraio-marzo 1986) e il XII Congresso di Rimini (ottobre 1991), la CGIL cerca di uscire dall’angolo attraverso un importante processo di autoriforma che ha il merito di rilanciare la sua azione sindacale. A Roma Luciano Lama lascia l’incarico di Segretario generale, che viene assunto da Antonio Pizzinato, il quale resta alla guida dell’organizzazione fino al 1988. Nel novembre 1988 il Direttivo elegge Bruno Trentin. È proprio durante la Segreteria di Trentin che una serie di avvenimenti modificano profondamente gli scenari internazionali, provocando effetti a catena anche in Italia. Nel 1989, infatti, la caduta del Muro di Berlino pone fine a oltre quaranta anni di guerra fredda, innescando un processo di crisi irreversibile dei paesi comunisti dell’Est e della stessa Unione Sovietica, già scossa dalle riforme di Gorbaciov. In Italia la fine del comunismo reale induce il PCI a mutare nome, simbolo e strategia, dando vita al progetto del Partito Democratico della Sinistra (PDS), destinato a subire la scissione “a sinistra” di Rifondazione Comunista. Anche la CGIL vive un delicato momento di transizione, sollecitata dagli eventi internazionali e nazionali; ma gli esiti sono diversi. La CGIL ha avviato un processo di autoriforma già prima della caduta del Muro. La crisi dell’unità con CISL e UIL, le divisioni sulla scala mobile, il rafforzamento del sindacalismo autonomo, sono le spie che portano la CGIL a modificare alcuni aspetti essenziali della sua politica. Alla Conferenza di programma di Chianciano (aprile 1989) il gruppo dirigente lancia le due parole d’ordine, “diritti” e “programma”, intorno alle quali costruire la nuova politica rivendicativa; inoltre, si avvia una discussione franca in tema di politica dei redditi, concertazione, riforma del sistema contrattuale, Europa. Tra la Conferenza di organizzazione di Firenze (novembre 1989) e il Congresso di Rimini, le tre componenti storiche (comunista, socialista e la Terza componente dei cosiddetti “senza partito”) decidono di sciogliersi, inaugurando una nuova fase nella storia della CGIL. L’approvazione, nel giugno 1990, della legge n. 146 che disciplina il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e la firma dell’accordo interconfederale per l’istituzione di organismi unitari di rappresentanza nei luoghi di lavoro (marzo 1991) sono tra gli esempi più significativi della nuova convergenza programmatica tra i sindacati confederali.
Nell’estate del 1992 l’Italia precipita nel pieno di una crisi. Dopo la firma del Trattato di Maastricht, che impone al paese una dura politica di sacrifici per centrare il traguardo europeo, una serie di avvenimenti scuote alle fondamenta il sistema politico-istituzionale: l’avvio delle inchieste giudiziarie di Tangentopoli, che coinvolge molti politici “eccellenti”, i risultati delle elezioni politiche di aprile, l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino da parte della mafia. Tra l’estate del 1992 e l’estate del 1993, in piena emergenza economica e politica, il sindacato dà un contributo decisivo per l’uscita del paese dalla crisi, collaborando con i Governi Amato e Ciampi, con i quali firma due accordi. Il primo, siglato il 31 luglio 1992, pone fine al meccanismo della scala mobile e prevede misure urgenti in tema di occupazione; con il secondo, firmato il 23 luglio 1993 dopo la ratifica dei lavoratori, si stabiliscono per la prima volta nella storia italiana regole certe nel sistema di relazioni industriali: l’intesa prevede, infatti, l’introduzione della politica dei redditi e della concertazione, nonché la riforma del sistema contrattuale, articolato su due livelli (nazionale e decentrato), di cui si fissano tempi e materie.
Negli stessi anni la politica italiana entra in uno stato di fibrillazione, con la nascita di nuovi soggetti politici, che vanno a sostituire i partiti della cosiddetta “Prima Repubblica”, e con l’introduzione nel 1993 del sistema elettorale maggioritario. Nel 1994 la vittoria elettorale del centrodestra di Berlusconi peggiora notevolmente i rapporti con CGIL, CISL e UIL; nella CGIL, intanto, Trentin viene sostituito alla Segreteria da Sergio Cofferati, riconfermato poi al XIII Congresso di Rimini (luglio 1996). È sul tentativo di riforma delle pensioni, operato dal centrodestra nell’autunno 1994, che si scatena la ferma risposta unitaria dei sindacati; la nuova riforma delle pensioni è varata poi l’anno seguente grazie all’azione del Governo Dini. Nel 1996, invece, il successo del centrosinistra di Romano Prodi nelle elezioni politiche apre un ciclo virtuoso che, attraverso il risanamento dei conti pubblici, permette nel 1998 l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea. Alla fine dello stesso anno, nel mese di dicembre, viene firmato tra il Governo D’Alema e le parti sociali l’ultimo importante accordo di concertazione, il cosiddetto “Patto di Natale” per lo sviluppo e l’occupazione.
Nel giugno 1999, a un anno di distanza dalla scadenza prevista dall’accordo del 1993, viene rinnovato il contratto dei metalmeccanici: è la dimostrazione che gli industriali avevano cominciato a guardare con crescente ostilità alle regole che disciplinavano il sistema di relazioni industriali. Pochi giorni prima, il 20 maggio 1999, le Brigate Rosse, dopo oltre dieci anni di silenzio, tornano brutalmente a colpire, uccidendo Massimo D’Antona, giurista da sempre vicino alle posizioni della CGIL, che aveva avuto un ruolo attivo nella stagione riformatrice del centrosinistra.
Dalla primavera del 2001 la crisi delle relazioni industriali è facilitata dall’involuzione politica, dovuta alla nuova affermazione del centrodestra. Berlusconi, nelle settimane precedenti il voto, stringe un’alleanza con la Confindustria all’insegna del neoliberismo e dell’isolamento della CGIL. Nei mesi successivi cresce l’allarme per il peggioramento degli scenari internazionali e nazionali. Gli attentati terroristici dell’11 settembre in America innescano la dura reazione militare degli USA, avviata con la guerra in Afghanistan e proseguita con la guerra in Iraq nel 2003. La CGIL, insieme a gran parte dell’opinione pubblica internazionale, si schiera contro quelle che ritiene violazioni del diritto internazionale.
In Italia le violenze commesse dalle forze dell’ordine a Genova nel luglio 2001, durante la riunione del G8, mostrano un clima di repressione. Nel 2002 giunge a compimento l’offensiva di Governo e Confindustria contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che stabilisce il diritto al reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. La CGIL, dopo il XIV Congresso di Rimini (febbraio 2002), organizza il 23 marzo la più grande manifestazione della storia italiana, con tre milioni di partecipanti al Circo Massimo di Roma. A pochi giorni da quell’appuntamento, le nuove BR uccidono il giurista Marco Biagi, consulente del Governo per la riforma del mercato del lavoro. Il 23 marzo è l’inizio di un’intensa mobilitazione, proseguita anche dalla nuova Segreteria di Guglielmo Epifani, subentrato a Cofferati nel settembre 2002, e destinata a concludersi con la sconfitta del Governo sull’articolo 18.
Nel 2006 la CGIL festeggia il suo centenario. Ad eccezione della breve parentesi del centrosinistra tra il 2006 e il 2008 (durante la quale fu siglato il “Protocollo Prodi” su previdenza, lavoro e competitività, approvato da una larga maggioranza di lavoratori e pensionati), la CGIL, spesso da sola, impegna tutte le sue energie per opporsi a politiche istituzionali, economiche e sociali del centrodestra (in particolare sul Welfare e sulla tutela dei migranti, sulla scuola e sul fisco) considerate pericolose, errate e socialmente inique, proponendo al Paese un programma di riforme che mira a contrastare il declino economico e civile dell’Italia.

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  • Norme italiane per l’elaborazione dei record di autorità archivistici di enti, persone, famiglie (NIERA), regola E.1.1 Denominazione di autorità.
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Dates de production, de révision et de suppression

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Écriture(s)

Sources

Sito ufficiale della Confederazione generale italiana del lavoro - CGIL: http://www.cgil.it/dalla-nascita-ai-giorni-nostri/ (consultato in data 19/11/2018).

Notes relatives à la mise à jour de la notice

Creazione: Memorie di Marca 18 novembre 2018
Compilazione: Lucia Giagnolini 18 novembre 2018